lunedì 5 ottobre 2009

Incontro con Il "Teatro delle Nuvole" - Marco Romei, attore e autore teatrale.

Sono quì a casa di Franca Fioravanti e Marco Romei. Ho avuto il piacere di conoscerli e incontrarli l'estate scorsa,   nella bellissima piazza di S. Pietro a Borgio Verezzi, partecipando al seminario "Giocando con il teatro". Conservo di quel lavoro un ricordo emozionante e toccante nello stesso tempo nonchè di divertimento. Marco e Franca sono due persone squisite e ambedue hanno fondato insieme il "Teatro delle Nuvole".
Vuoi parlarcene Marco?
Il "Teatro delle Nuvole è nato qualche anno fa, per volontà mia e di Franca insieme all'artista visivo Adriano Rimassa, ed è nato proprio come nostro spazio di libertà, dall'esigenza di volerci esprimere fuori da tutti i meccanismi commerciali, e/o del teatro tradizionale, dove l'aspetto creativo e della ricerca interiore, è per così dire accantonato per privilegiare aspetti che a noi poco interessano. 
Tutti e tre quindi, avevamo bisogno di creare un nostro spazio interiore per esprimere quello che sentivamo di poter fare dal profondo, dall'interno.
"Teatro delle Nuvole " (immagine magica)  perchè, e che cosa significa?
Diciamo che è basilare la motivazione per cui una persona sceglie di fare una cosa, in tutti gli ambiti umani. I linguaggi divengono i canali di espressione. Il "Teatro delle Nuvole" .... per noi le nuvole sono simbolo di fantasia, di continua trasformazione e d'immaginazione. A noi interessava unire i vari linguaggi: la musica, le arti visive, la parola. Sintetizzare un insieme in cui si creasse, non dico un nuovo linguaggio, ma un nostro linguaggio. Un linguaggio vero, che ci appartenesse pofondamente. Non so, a livello di pratica e di tecnica ci sono tante cose di cui parlare, abbiamo parlato dello spazio prima, e noi, non avendo una sede teatrale nostra, adattiamo i nostri lavori negli spazi in cui operiamo, quali le piazze, le ville, le gallerie d'arte, i parchi, e diventa interessante adattare queste azioni teatrali alle varie situazioni ambientali.
Nel seminario al quale io ho partecipato, si è lavorato su di un testo poetico. L'ispirazione è stata dettata dalla poesia o è stata la poesia stessa il punto di arrivo, il risultato di una creazione a tavolino?
Una delle caratteristiche dell'inizio di un lavoro, consiste nel fatto che sappiamo cosa vogliamo fare, cosa vogliamo esprimere. Succede però, che capiamo pefettamente a posteriori  il perchè, o quali sono stati i meccanismi che hanno legato le cose assieme. 
In questo caso avevamo scelto poesie d'amore di Nazim Hikmet. Però abbiamo  lavorato molto su di noi, su come creare delle immagini con i nostri movimenti, con le nostre caratteristiche, per poi adattarle a quella piazza in cui si sarebbe svolta l'azione. Direi che è stata una confluenza di tre o quattro elementi armoniosi fra loro, tant'è che non ce n'è stato nessuno predominante. E' un qualcosa che varia, che si trasforma. Una delle regole è che non ci sono regole. IL metodo come diceva Leo De Bernardinis, che è uno dei nostri maestri, è il non metodo. Il che non vuol dire non avere metodo, ma avere varie tecniche, vari modi, varie possibilità e usar quel che serve in quel momento  per quel lavoro, per quel linguaggio che stai usando in quel preciso frangente. Più tecniche si conoscono e più si ha libertà espressiva se no si rimane ingabbiati dalle tecniche. Più metodi si possono usare più si è liberi di sbizzarrirsi. La libertà espressiva nasce comunque da una maggiore conoscenza delle cose.
Non esiste un solo metodo, una sola regola, un solo modo di fare montaggio teatrale, ce ne sono tanti, più se ne conoscono più si diventa liberi di utilizzarne. E questa secondo noi è la libertà espressiva.
Tu sei uno scrittore teatrale, cosa vuol dire scrivere per il tuo tipo di teatro?
Come scrittore ritengo di aver avuto due momenti: il primo quando scrivevo delle commedie di stampo tradizionale ..... mi è servito comunque molto ....
Quindi sei partito da lì ....
Assolutamente sì. Dialoghi, personaggi di stampo tradizionale, situazioni. E' una cosa bellissima, che a me piace e che continuo a fare. Con una commedia assolutamente tradizionale, tra l'altro comica, ho vinto il premio "Fondi", che è un grosso premio. Poi ho lavorato con Pino Quartullo e altri. Ho tradotto Neil Simon, quindi ho proprio lavorato nella commedia tradizionale. C'è stato un momento successivo, in cui ho sentito il bisogno di approfondire innanzi tutto il fatto di non separare il momento della scrittura dal momento della creazione teatrale, quindi di unirlo. Da qui in poi il "Teatro delle Nuvole".
In seguito ho approfondito lo studio dei grandi classici, la poesia, i monologhi. Di conseguenza la mia evoluzione è stata di legare la scrittura alla creazione teatrale e quindi all'improvvisazione, a lavorare in collaborazione con gli altri, a usare anche testi di grandi autori non necessariamente teatrali, partendo anche da spunti extradrammaturgici quali letteratura, poesia, cinema. Qualsiasi cosa.
Tra i vari spettacoli che avete ideato, quali "Un cielo interiore", "Studi" e altri, vorrei che mi parlassi di "Mutamenti nel tempo" che è liberamente tratto dall'opera di Majakovskij.
Nel lavoro su Majakosvskij abbiamo reso teatrale e parlata la sua poesia e i suoi poemi; non ho utilizzato nessun brano di prosa, nemmeno testi teatrali.
Noi eravamo clown e così era il nostro modo di parlare. Abbiamo adattato questo tipo di linguaggio cercando di renderlo fuido e fruibile come se fosse una lingua. Ad un certo punto mi sono reso conto, senza nulla togliere alla scrittura tradizionale, che la necessità mia (nostra), era di arrivare ad una scrittura totale. Quindi doveva comprendere oltre la scrittura della scena, i vari elementi che univano la parola, la poesia, la prosa e il cinema. Qualsiasi di questi elementi legati insieme alla scrittura del corpo, delle luci, della musica e dell'improvvisazione degli attori. Questo intendo per lavoro di scrittura globale, totale, che è anche più vivo. Un corpo unico con la scena, con la polvere del palcoscenico, con i compagni con cui lavori. Insomma è molto più creativo e interessante che ricevere una richiesta di lavoro su commissione di questo o quel soggetto, e alla fine quando hai consegnato il lavoro non sai mai cosa succeda.
Negli ultimi anni ho approfondito anche il lavoro dell'attore.
Per quale motivo?
E' necessario per chi scrive teatro essere attore e regista. Se non si conosce dall'interno il linguaggio della scena diventa difficile, si finisce per rimanere sempre e solo dei letterati, dei giornalisti che hanno l'illusione di essere degli autori teatrali, ma in realtà non lo sono affatto. i grandi, da Molière a Shakespeare e altri, erano tutti attori e registi.  In questo senso, anche se facciamo ricerca e sperimentazione, siamo forse più legati alla tradizione di tanti altri, in quanto usiamo molto l'improvvisazione. 
Una delle poche tradizioni italiane è la Commedia dell'Arte, quindi la commedia dell'improvviso. Magari noi non usiamo dei personaggi fissi comme nella Commedia dell'Arte, ma l'improvvisazione e la libertà di partire da canovacci che vengono modificati durante le prove, durante gli spettacoli, ha comunque l'intento di legare con quella che è una delle poche tradizioni teatrali che abbiamo. Con questo voglio dire che alla fine non rifiutiamo assolutamente la tradizione, bensì rifiutiamo un tipo di teatro non vero. 

 L'intervista è stata pubblicata su
Corrente Alternata N° 3/97 - anno iv                                    

"
dal cielo inteioreELO INTERIORE"

          info@teatrodellenuvole.it

Nessun commento: